Sentiero 1: partenza da Cala Porro
LUNGHEZZA COMPLESSIVA (percorso circolare): 1.400 mt
TEMPO Dl PERCORRENZA (comprese le soste): 1 h
DlFFlCOLTA’: facile (occorre avere gli scarponi)
Cala Porro
La morfologia del territorio è caratterizzata dalla presenza di una falesia attiva, ossia di una costa rocciosa, a strapiombo sul mare, alta all’incirca 35 metri, che la lenta e costante azione erosiva del moto ondoso tende a fare arretrare. Cala Porro, chiamata così per la presenza delle piante di cipollaccio, è una delle insenature formate dell’effetto erosivo del mare come il solco del battente alla base della falesia e le numerose grotte di origine marina e carsica.
La grotta di Cala Porro, al centro dell’omonima caletta, è una cavità profonda circa 25 m e alta fino a circa 2 mt.
Dalla volta pendono piccole cannule originate dall’acqua percolante. Alcuni scavi eseguiti negli anni ’70 del secolo scorso hanno portato alla luce testimonianze che attestano un’antica frequentazione della cavità come riparo e luogo di abitazione in età preistorica, post paleolitica.
Alla base della falesia è presente un’importante struttura conosciuta con il nome di trottoir (dal francese ‘marciapiede’) a Vermetidi.
Si tratta di una formazione biologica esclusiva della zona intermareale, costituita da molluschi Vermetidi e alghe calcaree. In presenza di scogli affioranti il marciapiede può estendersi per alcuni metri in larghezza, mentre a Capo Rama, dove le pareti delle falesie digradano ripidamente verso il fondale marino, assume l’aspetto di un cornicione che borda ininterrottamente tutta la scogliera all’altezza del solco del battente.
Il trottoir ospita la più alta biodiversità del mare, con diverse centinaia di specie fra molluschi, alghe, crostacei, pesci ed altri organismi.
Le coste rocciose
Le falesie, caratterizzate da aerosol marino, insolazione, vento e, in alcuni periodi, sottoposte agli spruzzi marini, sono colonizzate da fitocenosi alofile tra cui dominano la salicornia fruticosa e lo statice di Boccone. Dal punto di vista floristico, sono accompagnate dal finocchio di mare, dal ginestrino delle scogliere, dalla timelea barbosa, dal giunco acuto e, lì dove il substrato diventa sabbioso, vegetano il papavero cornuto, la violaciocca selvatica e la salsola erba-cali.
Per vivere in queste particolari condizioni ambientali, le piante si sono evolute modificando alcuni organi, mentre in alcune specie le foglie fungono da serbatoi, accumulando molta acqua al loro interno, come nel caso del finocchio di mare e del ginestrino di scogilera, in altre si riducono a squame, come nella timelea, o, come nel giunco, scompaiono del tutto.
Altre strategie finalizzate a ridurre la perdita d’acqua dai tessuti delle piante sono la folta peluria che ricopre la lamina fogliare, il colore glaucescente, visibili nel papavero cornuto e nella violaciocca.
Le falesie sono frequentate tutto l’anno da diverse specie di uccelli, alcune delle quali facilmente osservabili, come il gabbiano reale mediterraneo altre più elusive, come il martin pescatore e il passero solitario. Il gheppio, specie nidificante, lo si può facilmente osservare nella tipica posizione dello “Spirito santo” che gli consente di librarsi nell’aria e restare sospeso nello stesso punto con rapidi movimenti delle ali per scrutare il suolo e lanciarsi in picchiata sulle prede. Più raramente, invece, è possibile avvistare il falco pellegrino che frequenta le aree più isolate della scogliera. L’ambiente costiero è di grande importanza non solo per l’avifauna stanziale ma anche per quellamigratoria; durante il passo primaverile e autunnale, infatti, è possibile osservare diversi esemplari di uccelli che sostano lungo la costa, sulle rocce o sui resti dell’antica torre di avvistamento.
I calcari a Megalodontidi
Il promontorio di Capo Rama è formato da una piccola penisola pianeggiante di forma triangolare, intagliata nei grandi terrazzi marini che caratterizzano questa porzione della Sicilia occidentale. A Capo Rama affiorano le rocce calcaree di più ,antica formazione parzialmente ricoperte da un esiguo strato di “terra rossa”, povera in sostanze minerali, tipica dei processi di alterazione delle rocce carbonatiche. Tali rocce si sono depositate sul fondo del mare, in un ambiente di piattaforma carbonatica e di laguna, sono successivamente emerse a seguito delle spinte orogenetiche che hanno portato alla formazione della Sicilia. Le rocce sono ricche di fossili, fra i quali prevalgono i gusci dei Megalodonti, lamellibranchi di grandi dimensioni e fossili guida del Triassico, oltre a resti di gasteropodi marini, di coralli e di altri organismi che popolavano i fondali marini. l microfossili e il lamellibranco Megalodon gùmbeli consentono di attribuire queste formazioni rocciose al Triassico (Norico), con un’età di circa 220 milioni di anni. A Capo Rama di questo mollusco bivalve, oggi estinto, si rinvengono le sezioni in cui è visibile lo spessore della conchiglia mineralizzata. La presenza del Megalodon, tipico fossile guida di questo periodo geologico, indica che i sedimenti che formano queste rocce si sono depositati in un ambiente di laguna di retroscogliera, caratterizzato da acque poco profonde e debole idrodinamismo. Doveva trattarsi di un ambiente assai simile a quello che oggi si trova negli atolli corallini dei mari subtropicali.
La macchia a Palma nana
La macchia si trova a ridosso della vegetazione alofilae a volte si protrae lungo i tratti di costa interessati da venti ricchi in salsedine. La specie dominante è la palma nana, unica palma autoctona in Europa, qui rappresenta da un fitto palmeto che si estende per 5 ettari nel territorio del promontorio. Al palmeto si associano la ginestra Spinosa, il camedrio femmina, lefedra, l’asparagp pungente, l’asparago spinoso.
Tra la vegetazione della macchia si rinvengono piccole formazioni di prateria, di cui rappresentano forme di degradazione, caratterizzate da piante erbacee effimere subalofile quali la scilla autunnale lo zafferano autunnale, il lino delle fate annuale, lo zafferanetto di Linares.
La fauna degli ambienti di macchia è molto eterogenea. La specie più rappresentativa della macchia mediterranea è senza dubbio l’occhiocotto, legato alla vegetazione arbustiva sempreverde prediletta per la nidificazione. Altrettanto comuni sono il cardellino, la cappellaccia, il saltimpalo.
Occasionalmente può capitare anche di vedere la poiana.
Ricca anche l’avifauna migratoria: in estate si può avvistare l’upupa, il rondone, la rondine. In autunno arrivano per svernare il pettirosso, lo storno e la ballerina bianca. Dove la vegetazione arbustiva lascia il posto a quella erbacea, da cui affiorano sassi e rocce, si possono facilmente osservare le due specie di lucertola presenti nella Riserva, e il biacco. Fra i mammiferi che frequentano questo ambiente vi sono il coniglio, il riccio e la donnola.
Il Bunker
Sulla costa, in prossimità del promontorio Capo Rama, esiste un posto di osservazione costiera (POC) costruito durante la II Guerra Mondiale. E’ una postazione circolare monoarma con caratteristiche più di controllo e sorveglianza che di prima linea di difesa, così come le altre simili presenti lungo il versante tirrenico dell’isola. Questa postazione, per la sua tipologia costruttiva, era atta a fronteggiare eventuali sbarchi ma non a fermarli per lungo tempo in attesa delle unità mobili di rinforzo; non è, infatti, idonea strutturalmente alla prova di grossi calibri, né idonea a sostenere strenue resistenze a oltranza.
La Torre di Capo Rama
Sull’estrema propaggine del promontorio di Capo Rama svetta la secolare torre di avvistamento, silenzioso testimone del tentativo di prevenire le rovinose incursioni sterrate dai pirati turco-barbareschi e dai corsari a danno delle popolazioni costiere.
Tipologicamente da ascrivere al XV secolo, la torre di Capo Rama è tra le prime a sorgere nel Golfo di Castellammare e nell’intera Sicilia, oltre a rappresentare anche la più antica costruzione esistente sul territorio del Comune di Terrasini.
Fu il re di Sicilia Martino il Giovane a prevedere, nel suo piano di fortificazione delle coste siciliane del 1405, l’edificazione di una torre sul Capo Rama, riconoscendo la valenza strategica del sito. La torre, che dal promontorio ha ereditato la denominazione, entrò a far parte del sistema delle torri senatorie, costituito da 10 postazioni costiere a difesa della città di Palermo, di cui rappresentava la più occidentale. Al suo interno si alternavano nella vigilanza due torrari, che divenivano tre in periodi di particolare timore, pagati dal Senato palermitano.
La torre di Capo Rama è rimasta attiva per quattro secoli durante i quali ha svolto la funzione di avvistamento e segnalazione dei pericoli che giungevano dal mare. Dalle Opere degli storici apprendiamo che questa torre non è mai stata attrezzata con pezzi di artiglieria perché le caratteristiche fisiche della struttura non erano adatte a sostenere il peso e le sollecitazioni dinamiche degli strumenti da fuoco allora in usa. Il tetto era coperto con volta a botte (dammuso) in conci di tufo sagomati e intonacati. La torre si eleva per due piani dal suolo e si articola i su tre livelli: la base con la cisterna, il primo piano con un locale a pianta circolare e la terrazza (astracu) da dove partivano le segnalazioni visive di fumo o di fuoco (fani). L’edificio aveva due aperture all’altezza del primo livello rivolte una verso mare e l’altra verso terra; quest’ultima fungeva pure da porta d’accesso a cui si giungeva attraverso una scala retrattile.
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