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I nostri gioielli: il Bosco della Ficuzza

Testi tratti da opuscolo distribuito dalla Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana.
Le foto sono frutto delle escursioni effettuate dal WWF Sicilia Nord Occidentale in questi ultimi anni


Chi arriva per la prima volta alla borgata di Ficuzza è sicuramente colto da una forte emozione per l’incredibile spettacolo che gli si offre dinanzi agli occhi: la severa struttura della reggia borbonica che, circondata dal verde del bosco retrostante, sembra essere “incoronata” dall’alta vetta della Rocca Busambra… E subito ci rendiamo conto che è difficile restringere in poche righe la meravigliosa bellezza di questa riserva. Impossibile raccontare, in poche parole, l’affascinante storia geologica di questa maestosa formazione rupestre che è la Rocca Busambra, nota ai paleontologi di tutto il mondo per i suoi fossili.

Riduttivo condensare in poco spazio la magnificenza di un bosco che è il polmone verde della Sicilia occidentale e che ospita l’80° o delle specie faunistiche presenti in Sicilia. E’ un’impresa ardua descrivere l’incanto di luoghi come le Gole del Drago, l’Acqua Ammucciata, Gorgo Lungo, ma anche del bosco o della Grotta del Romito.

Ovunque si volga lo sguardo nella riserva, la natura sa stupire: i caldi colori dei tronchi delle sughere scortecciate; le brusche apparizioni di branchi di daini che sbucano dal bosco e galoppano sulle praterie in primavera; i fossili di antichissimi organismi marini che appaiono su certe pareti rocciose perforate da vecchie cave; lo sfrecciare velocissimo di una ghiandaia, di un’upupa, di una gazza; le spettacolari parate nuziali invernali dell’aquila reale; l’eco lontano dei richiami del gracchio corallino o dei corvi imperiali dalle cime della Busambra, che si avverte in certe giornate brumose e fredde. E ancora… E poi ancora.

Non si finirebbe mai di raccontare le meraviglie della Busambra e del suo bosco: del suono dei passi attutiti da strati di foglie d’acero e di roverella, di cerro e di leccio, di piccoli semi alati e di ghiande che crepitano schiacciate; dei licheni frondosi che come barbette verdognole ammantano gli aceri dalle chiome tonde e riconoscibilissime; della spettacolare bellezza degli iris, blu e gialli e di certe timide orchidee che si affacciano sui prati in primavera; di certe querce vetuste che sembrano invase dai folletti, con rami serpentiformi che si intrecciano e fuggono lontano dal tronco; del brulicare frenetico degli uccelletti di selva, che si avvicendano fra rami e suolo alla ricerca di cibo o chissà che altro. ..

Non si può: meglio viverle in prima persona!


Il Bosco della Ficuzza

Denominazione:
Riserva Naturale Orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere, Gorgo del Drago. Provincia di Palermo.

Comuni:
Corleone, Godrano, Marineo, Mezzojuso e Monreale.

Estensione:
Area Riserva (Zona A): Ha 5.333,09; Preriserva (Zona B): Ha 2.064,40; Totale: Ha 7.397,49.

Riferimenti geografici:
I.G.M.l. in scala 1:25.000, FFgg.: 259 IV S.O., N.O.; lll NO.: 258 | NE., Il NE.; I S.0., NO.; Il N.O.

Data dell’istituzione:
D.A. n. 365 del 26 luglio 2000.

LA MAPPA DELLA RISERVA: 

Rocca Busambra: quanto fascino in quella montagna…

Come tutti i luoghi che nei tempi passati rappresentavano riserve reali di caccia, Ficuzza è stata oggetto di una conservazione a fini diametralmente opposti a quelli attuali: la selvaggina e i boschi erano del re, e venivano conservati per il re. Forse è questo il motivo per cui il bosco (che, pure, un tempo era esteso sino a Marineo) qui si è mantenuto, al contrario della vicina riserva delle Serre della Pizzuta, dove invece è ormai ridotto a pochi lembi di querceta. Anche se il “dopo Ferdinando” ha segnato una fase di abbandono in cui il bosco, terra di nessuno, è stato sistematicamente impoverito: cervi, daini, caprioli sono stati abbattuti sino all’ultimo capo; una buona parte degli alberi rasa al suolo in periodo di guerra, per produrre il carbone.

Eppure molto ancora resiste. Sono tanti e variegati gli ambienti naturali di questa riserva: si può parlare di un vero e proprio “mosaico” della vegetazione che tra le sue “tessere” annovera il lecceto, il sughereto, il bosco di querce caducifoglie, il cerreto, arbusteti e cespuglieti, aree rupesti e semirupestri, aree umide (fluviali e lacustri), praterie e garighe pascolive.

Tanta diversità ambientale comporta una ricchissima rassegna di specie viventi: oltre 1.000 le specie vegetali, di cui settantaquattro fra endemiche e subendemiche, alcune delle quali esclusive della Busambra, ed una rappresentanza delle specie faunistiche siciliane che arriva all’80% del totale.

L’ambiente più significativo dal punto di vista ecologico è senz’altro quello rupestre che, a causa delle difficili condizioni d’alta montagna, presenta forti escursioni termiche fra giorno e notte e venti battenti che disseccano i suoli. Può essere colonizzato soprattutto da piante che hanno sviluppato strategie di difesa come una distribuzione delle foglie in una rosetta basale appressata al suolo o una conformazione a cuscinetto emisferico. Infatti in genere queste piante hanno apparati radicali molto sviluppati, che le ancorano al suolo aiutandole a resistere.

Negli anfratti di nuda roccia si insediano arbusti di leccio (pianta che qui assume un ruolo pioniere) insieme ad olivastro ed euforbia arborea e vi si ritrovano molte specie endemiche a vari livelli come il fiordaliso della Busambra, dalle corolle rosse; la camomilla delle Madonie; la finocchiella di Boccone; la perlina di Boccone; il ciombolino di Sicilia; l’atamanta siciliana; l’armenia di Gussone; la bocca di leone siciliana, la rarissima viola del Tineo (localizzata solo sulla Giacca di Mezzogiorno), tanto per citarne alcune.

L’ambiente rupestre offre pace e rifugio anche ad animali elusivi come il falco pellegrino o l’aquila reale, che qui nidifica e si spinge a cacciare nelle aree aperte: in dicembre l’appassionato escursionista che si rechi sulla cima della Busambra, potrebbe fare l’eccezionale esperienza di osservare in diretta la parata nuziale delle aquile reali.

Anche altri animali, come i gracchi corallini o le rondini montane, hanno fatto dell’ambiente rupestre il loro regno.

Il bosco a sughera è collocato alle quote più basse: fra i 500 ed i 900 m s.l.m., sui versanti silicei, assolati e caldi: qui si trovano magnifici esemplari di quercia da sughero, se ne possono ammirare alcuni lungo la strada provinciale che da Ficuzza porta a Godrano, 4 km dopo il cosiddetto “Bivio Lupo”.

Il lecceto si sviluppa dai 900 ai 1.200 m s.l.m.: è un bosco sempreverde e le ghiande di questa quercia danno nutrimento a moltissimi animali silvani, ai daini ed agli irruenti cinghiali, reintrodotti dalla Forestale nei decenni passati.

Il sottobosco del sughereto appare molto ricco in specie. Il bosco di querce caducifoglie si trova tra i 500 ed i 1.000 m s.l.m ed è costituito essenzialmente dalle specie che afferiscono al gruppo delle roverelle, cui si associano la sughera, l’acero campestre e il frassino meridionale.

Sugli affioramenti rocciosi il leccio e l’orniello assumono una funzione pioniera. Il Cerreto è caratterizzato dal cerro di Gussone, specie simile al cerro, ma con foglie più ampie e grandi ghiande voluminose coperte sino a metà da cupule, con grandi squame ricurve. ll sottobosco è più scuro e meno ricco rispetto a quello degli altri boschi.

Ci vorrebbero molte pagine per descrivere le piante presenti nei diversi tipi di sottobosco e per scoprire come, in un certo senso, ognuna di esse sia indicatore di una qualche peculiarità ecologica di questo sito.

Nei diversi tipi di bosco troviamo sempre le stesse essenze arboree, con la differenza che una specie domina sulle altre perché le condizioni ambientali la avvantaggiano maggiormente. Oltre alle specie-guida (leccio, sughera, roverella, cerro), troviamo frassino meridionale, castagno e acero campestre.

Il ricco sottobosco è dominato dal rovo, dalla rosa canina, dal biancospino, dall’erica arborea, da molte altre arbustive e da un fitto tappeto erbaceo tra cui spesso scorrono esili rivoli d’acqua.

Il bosco è il regno delle cinciarelle, delle cinciallegre e di una miriade d’altri uccelli, delle upupe, delle ghiandaie, dei merli, dei nibbi bruni, degli uccelli insettivori come il rampichino e il picchio rosso maggiore, e ancora dei rapaci come il nibbio reale che si sposta tra le praterie e il bosco. Ma anche della volpe, del gatto selvatico, della martora e della donnola. Vi sono scomparsi i grossi mammiferi predatori come il lupo ed i grandi avvoltoi come il grifone e il capovaccaio, che qui si avvista solo nei periodi migratori. E’ scomparso anche l’imponente gufo reale. A Ficuzza altro ambiente molto ben rappresentato è il prato-pascolo, dove le specie dominanti sono le graminacee, le leguminose, le ombrellifere, le liliacee e le composite. L’endemico cipollaccio della Busambra, piccola liliacea bulbosa a fiori gialli sboccia in primavera e si insedia nei prati e nelle radure dei boschi, che offrono lo spettacolo delle corolle variegate di molte specie d’orchidee spontanee.

Le praterie non sono solo il regno dei bovini allevati allo stato brado, ma anche delle cornacchie grigie, del gheppio, del nibbio reale, di molti piccoli mammiferi frugivori e di una gran quantità di insetti e artropodi d’ogni genere.

La Busambra è una montagna calcarea che presenta fenomeni di carsismo: l’azione di erosione delle acque ha portato alla formazione di pozze superficiali, forre torrentizie, laghetti collinari, tutti ambienti umidi, dove la vegetazione è dominata dai salici (bianco e pedicellato), dai pioppi (nero e bianco), dall’olmo canescente, dal frassino e presenta un sottobosco di fico e sambuco nero, l’immancabile rovo, l’equiseto dai pennacchi raggiati e poi tamerice africana, carice pendula ed edera.

Negli anfratti delle Gole del Drago pullulano libellule coloratissime, mentre granchi di fiume scrutano guardinghi, semi-sommersi fra le pietre di ripa, la biscia dal collare che scivola silenziosa alla ricerca di rane, rospi, girini o piccoli pesci. Negli specchi lacustri, naturali o d’origine artificiale, in genere possono svernare diverse specie di anatre e uccelli migratori tipici delle paludi. Ci sarebbero moltissime altre cose da raccontare: per esempio che ai piedi della Busambra, in diversi punti, fiorisce la belladonna, rarissima in Sicilia. Altra nota degna di rilievo è che nella riserva vive la coturnice di Sicilia, generalmente poco frequente.

Chi volesse godere delle bellezze di questa riserva potrà seguire gli itinerari indicati dalla Forestale, affidarsi alle guide del luogo o infine, se non avesse voglia di camminare, fermarsi nelle aree attrezzate. Ma se andrete in quota, non dimenticate il binocolo e nemmeno la macchina fotografica: Ficuzza e la Busambra offrono davvero molte sorprese !

NOTIZIE UTILI

La riserva può essere raggiunta da Palermo attraverso lo scorrimento veloce Palermo-Agrigento imboccando l’uscita per Bolognetta; quindi seguire le indicazioni per Marineo (SS 118) e procedere in direzione Corleone, subito dopo il Lago Scanzano (detto anche “serbatoio Madonna delle Grazie”), si arriva al bivio per Ficuzza (caratterizzato da un obelisco), svoltare a sinistra per raggiungere il piccolo centro abitato. L’accesso alla riserva è garantito dai numerosi percorsi che si dipartono dai centri di Godrano, Marineo, Corleone, Mezzojuso e Campofelice di Fitalia.

L’ospedale degli uccelli.

Il Centro Regionale Recupero Fauna Selvatica “Ficuzza” è un vero e proprio ospedale che cura, riabilita e reimmette in natura i suoi “ospiti”. Promosso dalla Forestale, è gestito dalla Lega Italiana Protezione Uccelli, offre una struttura e servizi che vanno ben oltre la semplice cura degli animali (che già di per se’ è un fatto eccezionale). Il centro è dotato di una sala operatoria dove i “pazienti“ vengono operati e dove si eseguono le pratiche di disinfezione e cura. A parte si trova una sala didattica. luogo versatile, nel quale possono essere visionati filmati o tenute brevi conferenze, lezioni o seminari operativi.

Nella parte non esposta al pubblico si trova l’area di convalescenza e riabilitazione; le sezioni che accolgono gli animali prendono nomi diversi: voliere di stabulazione, di quarantena e di riabilitazione. Gli animali vengono spostati man mano che procedono nella guarigione sino ad arrivare nei tunnel di riabilitazione, dentro i quali possono riprendere le attività di movimento e, se uccelli, rafforzare i muscoli alari.

In una sezione apposita (quella delle voliere didattiche), vengono esposti al pubblico gli irrecuperabili (soprattutto uccelli): sono animali non più in grado di essere reimmessi in natura o per gravi lesioni permanenti subiti o perché imprintati, cioè troppo abituati alla presenza dell’uomo.

L’esposizione al pubblico non avviene con l’intento di catturare l’attenzione dei visitatori come se fossero in uno zoo, ma al contrario serve a far riflettere su quali siano le conseguenze dei danni a cui gli animali sono sottoposti, per lo più a causa dell’uomo. Brevi ed efficaci schede informative illustrano le peculiarità dei diversi animali. La nursery, invece, serve ad ospitare i nidiacei giunti al centro.

Una volta guariti, gli animali, dopo essere stati inanellati (se uccelli) e registrati, vengono liberati in natura, se possibile nelle stesse zone di provenienza: si fa particolare attenzione alla liberazione degli uccelli migratori per far si che possano ricongiungersi, nel periodo giusto, ai propri simili in transito.

Il Centro è visitabile: se si tratta di gruppi è meglio prenotare la visita. Info: 320 806 2385


Emergenze paesaggistiche

Pulpito del Re: raggiungibile attraverso diversi sentieri naturalistici. Consultare apposite guide.

Gorgo Lungo, Gorgo Tondo e la Peschiera del Re: sulla SP 126 che inizia a Bivio Lupo (lungo la SS 118 PA-AG): è la strada che porta a Godrano: a 4 km dal bivio si trova un cancello forestale: seguire la pista che prosegue sino ad un bivio, quindi svoltare a sinistra e percorrere il sentiero fino in fondo. Gole del Drago: da Ficuzza si va verso Corleone imboccando a destra, sulla SS 118 PA, AG la stradella che porta al torrente Frattina (ramo sinistro del Belice). 

Grotta del Romito: sulla parete settentrionale della Rocca Busambra.

Acqua Ammucciata: imboccare il sentiero per Alpe Ramosa. Visita da concordare con la Forestale per l’apertura del cancello.

Il Fanuso e la Capreria: valli di suggestiva bellezza raggiungibili proseguendo lungo la carrareccia che porta dalla reggia ad Alpe Cucco: superato il rifugio procedere sulla destra per circa 1 km. Segnalazioni forestali aiuteranno a trovare l’inizio del sentiero.

La carbonaia

Quella del carbonaio è, insieme a quella del boscaiolo, un’attività peculiare del bosco. Antica quanto l’uomo, oggi va scomparendo ma, fino a poco tempo fa, attraversando il bosco, in autunno e talvolta in inverno, era facile trovarsi davanti un fussuni o cravunera (carbonaia) in opera. Produrre carbone è un’operazione lunga e laboriosa, che deve essere svolta in prossimità di una sorgente d’acqua: tagliati e raccolti i rami, preparati il pagliaio ed i focolari, la legna viene selezionata per grossezza e lunghezza, accatastata e, quindi, ricoperta di terra umida e foglie. Dopo, la cravunera viene accesa dal carbonaio che vigila attentamente, giorno e notte, per controllare il fumo che esce dalla catasta e ascoltandone gli scricchiolii capisce se la cottura avviene in modo uniforme. Quando sarà finito il fumo, dopo circa due settimane, il carbone è pronto.

La storia, il paesaggio e I’uomo

Questa distesa verde, dominata del massiccio roccioso di Rocca Busambra, interrotta da isole abitative (borghi, masserie e aziende agricole), ricca di cavità naturali, è stata abitata dall’uomo sin dalla preistoria, anche se si hanno poche notizie sulla sua comparsa in questi luoghi: si ipotizza che qui l’attività umana sia (iniziata tardi, introdotta da gruppi di cacciatori e raccoglitori che giungevano stagionalmente attraverso l’Eleutero (fiume che ha le sorgenti nella Busambra) delle località costiere, dove la rivoluzione neolitica (l’uomo impara ad allevare gli animali e a coltivare la terra) era già avvenuta.

Strumenti e armi in pietra e osso, ceramica ed anche resti di un villaggio a capanne (vicino Ficuzza) testimoniano insediamenti del periodo che va dal Neolitico alla prima Età del Bronzo.

Ma è in una fase successiva che troviamo colonizzazioni stabili del territorio: gruppi provenienti dalla costa trovano siti adatti alla pastorizia (Grotta Cutrupia) e all’agricoltura (località Giacomobello). Le informazioni scarse di questi luoghi permettono comunque di ipotizzare l’avvento, in periodo successivo, di nuovi colonizzatori (Elimi) che non cambiano molto le abitudini locali, ma danno ai siti del comprensorio (corleonese) un’organizzazione gerarchica. Questa zona si vivacizzò sotto i Romani che avevano costruito una strada da Palermo ad Agrigento, con deviazione per Corleone, utile per il controllo del territorio, e che contemporaneamente aveva dato impulso ai commerci. Nel 1954 è stato infatti trovato, vicino Ficuzza, un miliario, parallelepipedo in pietra, dove si segna la distanza tra una città ed un’altra.

Ma quest’area ebbe splendore e fama soprattutto quando Ferdinando IV di Borbone volle farne un luogo di convivio per i nobili della sua corte. Numerose strutture testimoniano le attività ed i cambiamenti che il circondario visse tra la fine del XVIII e’ l’inizio del XIX sec.. Le riserve di caccia, passatempo preferito dal re, coprivano migliaia di ettari; per proteggere la selvaggina il sovrano istituì un corpo di guardiacaccia e dotò il bosco di muracche, muraglie per dividerle in settori (zona di caccia, zona di ripopolamento) e di altre costruzioni ancora oggi visibili: il pulpito del re, sedile posto in cima ad una scala scavata nella roccia, che serviva a Ferdinando per cacciare; la peschiera di “Gorgo del Drago”, per pescare, di cui rimangono i resti insieme a quelli degli edifici limitrofi. La costruzione più significativa del tempo, che ancora suscita ammirazione, è certamente l’imponente costruzione della Real Casina di caccia, nella borgata di Ficuzza.

La riserva oggi vuole proteggere il territorio dal degrado, salvaguardandone gli ambienti naturali, le strutture storiche e le antiche attività che, con alterne vicende, continuano a creare ricchezza agli abitanti locali e gran piacere agli avventori che cercano quiete e tranquillità.

Il palazzo reale

L’edificio, che sorge in fondo ad un ampio spiazzo. delimitato a sinistra da basse costruzioni della stessa epoca, è la Real Casina di Caccia, voluta da Ferdinando IV di Borbone quando, giunto fuggitivo a Palermo, a causa della rivoluzione napoletana (gennaio 1799), cercò luoghi adatti alla caccia ed ai divertimenti, che erano i suoi passatempi preferiti. Il re acquisì territori dove cacciare, rendendoli adatti alla sua persona, vi apportò migliorie e li attrezzo di ogni comodità. In quest’ottica sorsero la Palazzina Cinese a Palermo a la Casina di caccia a Ficuzza, entrambe affidate anche a Venanzio Marvuglia, l’architetto più un voga del tempo.

La costruzione, realizzata tra il 1802 ed il 1807, che aveva assorbito notevoli risorse in manodopera e materiali, si affaccia su un vasto piano circondato da abbeveratoi, magazzini, case per chi vi lavorava all’interno e a servizio del Palazzo.

La bellezza della Casina sta nella semplicità delle sue linee, la facciata attraversata da due ordini a finestre bordate, nella parte sommitale termina con un cornicione sporgente, poggiato su mensole decorate, dove troneggia lo stemma coronato dei Borbone, abbellito da un festone floreale e delle statue del dio Pan, protettore dei boschi, e di Diana, dea della caccia. Alle estremità del cornicione sono stati posti due grandi orologi, sotto quello di destra si trova la cappella del Palazzo con ingresso esterno (il re poteva assistere alle funzioni religiose da un balcone, aperto sulla cappella, al quale accedeva dai suoi apparentamenti).

L’edificio, a pianta rettangolare, si sviluppa su due piani. A piano terra si trovavano le abitazioni delle guardie e della servitù, le dispense e le cucine. Queste erano collegate da una scala interna alla cantina che era stata ricavata dagli ambienti sotterranei, utilizzati per il riparo della carrozza dei re e delle attrezzature, comunicanti all’esterno attraverso un cunicolo. Al piano superiore si accede attraverso uno salone di marmo rosso locale (estratto da Rocca Busambra, versante meridionale). Vi si trovano gli appartamenti reali per il re, per l’erede Leopoldo e le stanze per gli ospiti. Degli antichi originari splendori, oggi rimane la sala centrale, con volta sostenuta da colonne di marmo con capitelli all’uso neoclassico; le decorazioni e gli affreschi riflettono anche il gusto dell’esotico, in gran voga in quel periodo a Palermo. Alcuni oggetti: quadri, arredi sacri, sculture e curiosità, sono esposti per i visitatori. Entrare nel Palazzo è un’esperienza gradevole e doverosa per chi viene ospitato nel giardino retrostante, attrezzato per un piacevole pic-nic.

La Rocca Busambra

Si erge, bianca e spettacolare, sul manto verde che ricopre suoli dai declivi più dolci. La sua origine geologica fa dibattere paleontologi e geologi da circa un secolo: solo recenti studi effettuati con tecniche sofisticate hanno consentito di ricostruire la sua storia.

La Busambra è una sorta di immensa zattera formatasi nel corso di 200 milioni di anni circa, in un braccio del mare Tetide (l’oceano del Mesozoico) che si trovava incuneato nella Pangea, il continente primordiale: quel braccio di mare era l’antico progenitore del Mediterraneo attuale. Occupava una sua posizione in quello che oggi è il Mar Tirreno e andava fermandosi per l’accumulo di organismi fossili, alghe ed animali, che popolavano le acque dove sorgeva il sito d’origine.

Con la loro deposizione si vennero a formare strati diversi che andiamo a ritrovare dal basso verso l’alto, a partire dai più antichi: i calcari dolomitici bianchi formati dalla fossilizzazione delle scogliere coralline che popolavano le acque di 200 milioni d’anni fa: coralli, spugne e tappeti algali, (stromatoliti). Più su i calcari rossi caratterizzati dalle ammoniti: molluschi cefalopodi con chiocciola a spirale piana, simili agli odierni nautilus, che popolavano gli oceani ai tempi dei dinosauri. Seguono i calcari marnosi bianchi e rosati costituiti dall’accumulo di una quantità immensa di foraminiferi (microorganismi con gusci calcarei) e coccoliti (frammenti d’alghe brune), che andavano costituendo il plancton dei mari a cavallo delle Ere Secondaria e Terziaria (dal Cretaceo 135 ml di anni fa all’Eocene circa 37 ml di anni fa). Seguono poi segni di attività erosive superficiali: la roccia era emersa e veniva squarciata, solcata, aperta dall’acqua piovana e dalle intemperie, per ritrovarsi sommersa dal mare che nuovamente s’innalzava. E così nuovi sedimenti: le calcareniti marnose verdastre, caratterizzate dai denti di squalo. Poi, lento ma inesorabile, il distacco dalla crosta terrestre in cui si era formata: forze tettoniche di inaudita intensità provocarono il distacco di questa dorsale rocciosa e la fecero migrare verso la costa nord occidentale della Sicilia, ed approdare sulla catena siciliana, strato roccioso che si trova a 10 km di profondità, la cui epoca di costituzione risale a periodi molto più recenti rispetto alla montagna soprastante.


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