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La Caretta caretta, la nostra tartaruga marina, conoscerla per proteggerla

SE VEDI UNA CARETTA CARETTA (TARTARUGA MARINA) IN DIFFICOLTÀ CHIAMA SENZA ESITARE LA GUARDIA COSTIERA NR. NAZIONALE 1530 E POI AVVISA UNA ASSOCIAZIONE AMBIENTALISTA COME IL WWF. 

Testi tratti dalla pubblicazione del WWF: Status e conservazione dei Testudinati in Sicilia (2005) – Immagini archivio  WWF Sicilia Nord Occidentale

Caretta caretta (Linnaeus, 1758)

Nome comune: Tartaruga caretta (Razzetti et al., 2001).

Pagina tratta da “Il lessico del mare” della collana Atlante linguistico della Sicilia

Nomi vernacolari siciliani: Tartaruca di mari (Agrigento) (Leonardi, 1897), Scuzzania (Portopalo di Capo Passero, Siracusa).

Descrizione originale: la Tartaruga caretta è stata descritta con il nome di Testudo caretta da Linnaeus nel 1758, nella celebre opera Systema Naturae, Ed. 10, 1: 197. Il locus typicus indicato dall’Autore è “Isole Bermude”.

Distribuzione: la Tartaruga caretta è stata segnalata in tutte le acque temperate e subtropicali del globo, ma è nota anche per alcune aree tropicali. Esemplari isolati sono stati rinvenuti in località artiche. Le aree di nidificazione più importanti sono presenti nella Penisola Arabica (Oman), lungo le coste sud-orientali degli Stati Uniti d’America (Florida, Georgia e Carolina) e in Australia. Nel Mar Mediterraneo Caretta caretta nidifica in Grecia, Turchia, Cipro, Libia, Egitto, Tunisia, Italia e Israele (Lescure, 1997; Gambi et al., 2004). Corotipo: cosmopolita.

Distribuzione in Italia: questa specie nidificava con una certa regolarità in diversi tratti costieri italiani, almeno fino alla metà del secolo scorso, in particolare: Toscana meridionale, Lazio, Campania, Calabria ionica, Puglia, Sicilia meridionale, Isole Pelagie, Sardegna occidentale ed orientale (Jesu, 1995). Attualmente frequenta regolarmente tutti i mari italiani, ma i siti di nidificazione sono localizzati sulle coste calabresi (Mingozzi et al., 2004), nella Sicilia meridionale e nelle Isole Pelagie (Lampedusa e Linosa) (Bruno, 1970, 1986; Di Palma, 1978; Di Palma et al., 1989; Tunisi & Vaccaro, 1998; Piovano et al., 2004). Un accurato censimento dei siti di nidificazione sulle coste italiane è in stato di avanzata elaborazione (Mingozzi, 2005 in litteris).

Note tassonomiche: in passato sono state riconosciute due sottospecie, quella nominale e C . c. gigas Deraniyagala, 1933, quest’ultima caratterizzata principalmente dalle maggiori dimensioni, dalla presenza di 7-12 piastre neurali (7-8 in quella nominale) e dalla presenza di 13 piastre marginali (12 in quella nominale); secondo Capocaccia (1966) gran parte dei caratteri utilizzati per la distinzione delle due sottospecie non sarebbero validi, mentre alcuni caratteri osteologici relativi alle piastre neurali e le dimensioni sarebbero validi per separare i due taxa. Secondo la recente letteratura, però, la specie è da considerarsi monotipica. Soltanto in tempi recenti è stata studiata la variabilità genetica di questa specie. Secondo Kaska (2000), le popolazioni mediterranee avrebbero caratteristiche genetiche diverse rispetto alle popolazioni atlantiche, a causa del basso tasso di scambio genico fra i due gruppi di popolazioni.

Note sulla diffusione in Sicilia: la Tartaruga caretta frequenta regolarmente i mari circostanti la Sicilia (Argano et al., 1991; Jesu, 1991, 1994, 1995) e nidifica quasi regolarmente sulla spiaggia dei Conigli (Isola di Lampedusa) e sull’Isola di Linosa (Isole Pelagie) (Di Palma, 1978; Di Palma et al., 1989; Jesu, 1991, 1994, 1995). Sono segnalati siti di ovideposizione anche lungo la costa meridionale della Sicilia (Bruno, 1970, 1986; Sottile et al., 1994; Castelli, 1996; Tunisi & Vaccaro, 1998).

Ecologia e status delle popolazioni: la Tartaruga caretta svolge gran parte del suo ciclo biologico nelle acque di mari ed oceani dove frequenta le aree di foraggiamento, e si reca sulla terraferma, compiendo estese migrazioni, soltanto per raggiungere i siti di nidificazione.

L’alimentazione comprende numerosi invertebrati come Echinodermi, Molluschi, Crostacei ed occasionalmente Pesci e Alghe. E una specie di norma solitaria ma gli adulti si raggruppano nel periodo degli amori, quando compiono lunghe migrazioni per raggiungere le aree ove avviene la riproduzione. Questo fenomeno è ben noto ai pescatori, i quali raccontano come in alcuni periodi dell’anno ed in particolari aree del Mediterraneo, si possano vedere numerosi esemplari adulti fermi in superficie a crogiolarsi al sole, oppure impegnati a lottare (con poderosi colpi di pinne) o intenti all’accoppiamento.

E’ stato accertato che per questa specie esiste un meccanismo di “natal homing” che consente alle femmine di ritornare presso la spiaggia dove sono nate. Le femmine che nidificano nello stesso tratto di costa sarebbero pertanto affini geneticamente poiché provenienti dallo stesso nido. Secondo quanto finora noto, per questa specie esisterebbe pertanto una forte “filopatria” (Kaska, 2000). Caretta caretta compie estese migrazioni durante la sua vita, grazie a meccanismi di orientamento ancora poco noti, che includono anche l’utilizzo del campo magnetico terrestre (Avens & Lehmann, 2003, 2004). I piccoli nati, una volta fuoriusciti dal nido, attraversano il tratto di spiaggia che li separa dall’acqua e durante questo percorso cadono spesso vittime di numerosi predatori (ad es. volpi, cani randagi e gabbiani). E’ pertanto fondamentale per i nuovi nati raggiungere l’acqua nel più breve tempo possibile.

I piccoli riescono a mantenere la giusta direzione grazie ad un insieme di meccanismi di orientamento basati su almeno tre tipologie di stimoli:

1) visivi (riflesso della luce sulla superficie dell’acqua);

2) meccanici (direzione delle onde);

3) magnetici (campo magnetico terrestre).

E’ stato ipotizzato tuttavia che le strategie di orientamento di giovani ed adulti, pur utilizzando stimoli simili, siano piuttosto differenti (Avens & Lehmann, 2003, 2004; Nagelkerken et al., 2003).

 

Sia giovani che adulti compiono ampi spostamenti in mare per scegliere l‘habitat preferenziale. I nuovi nati,  una volta giunti in acqua, nuotano continuamente per almeno un giorno intero in linea perpendicolare alla costa, ovviamente per allontanarsi il più possibile dalla terraferma e raggiungere le acque profonde e sfuggire così ai predatori della zona costiera.

I primi stadi giovanili frequentano gli ambienti oceanici e pelagici che raggiungono sia attivamente, sia grazie al trasporto passivo da parte delle correnti oceaniche (ad es. la corrente del Golfo per le popolazioni americane). Gli stadi giovanili più avanzati compiono movimenti di foraggiamento in oceano o migrazioni stagionali tra aree neritiche (ambienti marini con profondità non superiore a 200 m) di alimentazione.

E’ stato documentato come esista un’elevata fedeltà al sito da parte dei giovani di Tartaruga caretta, che consente di identificare correttamente le aree frequentate abitualmente e di ritornarvi quando questi vengano allontanati (Avens et al., 2003).

Nonostante i numerosi studi condotti, sia su animali in laboratorio sia in natura con l’ausilio della telemetria satellitare, i meccanismi che consentono alle tartarughe marine di orientarsi durante le loro migrazioni risultano ancora piuttosto oscuri (Luschi. 2004).

Per compiere le migrazioni, più o meno estese, sia i giovani che gli adulti utilizzerebbero, analogamente a quanto avviene nei nuovi nati, sia stimoli meccanici dovuti alla direzione delle onde che il campo magnetico terrestre, ma anche l‘interazione fra i due; altri stimoli sono considerati possibili come ausilio per il mantenimento di rotte migratorie corrette: gradienti chimici, riferimenti della volta celeste (posizione del sole e luce polarizzata) e punti di riferimento topografici familiari (Avens & Lohmann, 2003).

Il rituale di corteggiamento e l’accoppiamento si compiono in acqua e possono durare anche diversi giorni.

Una sola fecondazione può assicurare la ovideposizione per diverse stagioni riproduttive consecutive, dato che gli ovidutti hanno la capacità di mantenere vivi gli spermatozoi per molto tempo. La femmina effettua l’ovideposizione su una spiaggia adatta, che raggiunge durante le ore notturne. Eccezionalmente la ovideposizione può avvenire durante le prime ore del giorno, come documentato recentemente in Sicilia lungo la costa agrigentina (Insacco et al., 2000). La femmina realizza il proprio nido a 10-15 m dalla linea di costa, scavando una buca profonda circa 50 cm, in modo tale che le uova (fino a 190, mediamente poco più di 100) abbiano un’adeguata protezione e valori ottimali di temperatura ed umidità; la buca viene successivamente ricoperta con la sabbia e la superficie livellata, per risultare meno visibile ai potenziali predatori ad attività diurna (es. gabbiani).

Il periodo d‘incubazione è variabile da 50 a 70 giorni, a seconda dell’esposizione del nido e delle caratteristiche climatiche e microclimatiche. I neonati, lunghi circa 5 cm, attraverso il loro movimento all‘interno del nido, causano la caduta della sabbia dall’alto e così anche l’innalzamento del pavimento del nido che gradualmente li porta verso la superficie. I nuovi nati emergono durante la notte per evitare le alte temperature e l‘azione dei raggi solari, ma anche possibili predatori. Ugualmente a quanto avviene per altri Testudinati, anche in C. caretta il sesso dei nascituri è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova: a 30° C, il rapporto sessi è di circa 1:1; con temperature maggiori si ha il prevalere delle femmine, viceversa la predominanza di maschi. La maturità sessuale viene raggiunta tra il 10° e il 12° anno di vita.

Le numerose attività umane svolte lungo la costa, nei mari e negli oceani, rappresentano importanti fattori di rischio per la sopravvivenza di C . caretta. In particolare, l’impatto negativo di queste attività includono la distruzione e l‘alterazione dei siti di nidificazione, l’alterazione delle aree di foraggiamento, l’inquinamento delle acque marine e degli ambienti costieri; effetti particolarmente negativi sono causati dalle attività di pesca, soprattutto di quella intensiva (Lutcavage et al., 1997).
Nel Mediterraneo le aree dove sussistono i maggiori problemi per la sopravvivenza della Tartaruga caretta sono le Isole Baleari ed il Canale di Sicilia (Ballasina, 1995).

Migliaia di esemplari muoiono per annegamento in quanto imprigionati nelle reti o a causa dei grossi ami dei “palamiti” (chilometri di lenza che portano numerosi grossi ani per la pesca dei pesce spada). Secondo stime attendibili, nel bacino del Mediterraneo, le tartarughe che ogni anno muoiono a causa delle reti sarebbero addirittura 5000, di cui circa 500-600 nel solo Arcipelago delle Isole Eolie (Capula in Bulgarini et al., 1998).

Altre problematiche sono rappresentate dalle eliche dei natanti, dai numerosi inquinanti sversati nelle acque, tutti fattori questi che causano la morte o il ferimento di un numero considerevole di esemplari.

(NDR, 2018) Da qualche anno la maggior parte di Caretta caretta vengono soccorse per problemi di galleggiamento e una volta visitate nei centri di primo soccorso o di recupero, hanno gli stomaci pieni di plastiche di varia natura scambiate per cibo (meduse).  Anche gli esemplari feriti o vittime della pesca illegale vengono trovate con quantità notevoli di plastica nelle viscere.

Le lunghe reti poste in mare rappresentano, inoltre, un notevole fattore di disturbo in quanto interferiscono con le rotte di migrazione. Molti esemplari vengono uccisi intenzionalmente per essere impiegati in cucina o come souvenir. A causa del disturbo nelle aree di nidificazione e del deturpamento degli arenili, che vengono spesso resi inadatti per la ovideposizione, è stato osservato come in determinati casi le femmine si liberino delle uova direttamente in acqua! Come già detto i nuovi nati, una volta giunti allo scoperto. per orientarsi. utilizzano anche la luminosità riflessa all’orizzonte dalla grande massa d‘acqua. E‘ facile quindi comprendere l’effetto devastante dell’inquinamento luminoso prodotto da fonti artificiali poste sui litorali (abitazioni, discoteche, falò, etc.) sulle neonate tartarughe appena emerse, che rappresentano la classe di età più esposta ai numerosi rischi. Lo sfruttamento balneare dell’arenile determina inoltre seri pericoli per i nidi che possono subire danni dal continuo calpestio, da ombrelloni, da sedie sdraio, etc.

In Italia, un trentennio di cementificazione dei litorali ha portato all’abbandono, da parte di questa specie, delle aree più significative di nidificazione. Lo sfruttamento balneare delle aree costiere rappresenta una delle principali minacce per il successo riproduttivo di C. caretta nelle Isole Pelagie; l’impatto negativo della balneazione è stato oggetto di recenti specifici studi presso l’Isola di Lampedusa (Bombace et al., 2001; Nicolini et al., 2004). Nelle spiagge lampedusane è stata valutata l’entità del disturbo arrecato alla riproduzione di questa specie, dalla presenza di turisti, dalla presenza di fonti di luce vicino alle spiagge, dall’inquinamento acustico e dalla presenza di ostacoli di origine antropica. L’Isola di Lampedusa, uno dei due siti regolari per la nidificazione di C. caretta nelle Isole Pelagie, è divenuta nell’ultimo decennio una importante località che richiama numerosi turisti soprattutto nei mesi estivi si è stimato che sull’Isola le spiagge abbiano oltre 2.000 presenze giornaliere. Ciò ha determinato, nel tempo, un forte calo numerico dei siti di nidificazione in queste isole, rappresentando un serio pericolo per i pochi rimasti.

La Tartaruga caretta è ricercata attivamente per le sue carni e per la corazza fin da tempi antichi, come testimoniano i racconti di anziani pescatori e come evidenziato in pubblicazioni specialistiche. Doderlein (1881) evidenzia la pratica abitudinaria dei pescatori di raccogliere esemplari di questa specie quando si trovano galleggianti: Leonardi (1897) inoltre ebbe a dire a tal proposito che “Chelonia carena Linn… non è frequente nel nostro mercato”, evidenziando il fatto che C . caretta fosse conosciuta meglio come animale da “mercato” che da un punto di vista naturalistico.

Recenti ricerche basate su metodi di censimento tramite telemetria satellitare. svolte nel Mar Mediterraneo e negli Oceani Atlantico, Pacifico ed Indiano, hanno evidenziato come esista una elevata mortalità a causa soprattutto delle attività di pesca, e come sia pertanto negativo l’impatto antropico sulle popolazioni delle tartarughe marine (Hays et al., 2003). Ogni anno molti esemplari di C . caretta, per disparate cause, giungono sulle coste o in prossimità di esse (spiaggiamento), morte o ferite o in ogni caso con problemi sanitari. Il WWF, insieme con la Fondazione Cetacea e la provincia di Brindisi. ha recentemente curato un censimento dove figurano ben 541 casi di spiaggiamento lungo le coste italiane durante il biennio 2002-2003 (AA.VV., 2004). Di queste segnalazioni 99 riguardano le coste siciliane, in massima parte dell’Isola di Lampedusa e dell’agrigentino, ma alcune segnalazioni si riferiscono ai litorali trapanesi, palermitani e messinesi. Il WWF nel solo 2001 ha soccorso oltre 700 esemplari, spiaggiati o catturati accidentalmente nelle attività di pesca (Rocco, 2002).

Anche per le coste catanesi sono comunque segnalati casi di spiaggiamento di esemplari (Tunisi & Vaccaro, 2004). Le tartarughe marine che giungono sulle spiagge sono sempre in cattive condizioni sanitarie, o a causa di ferite provocate da mezzi a motore, o a causa della presenza di ami nel cavo orale. Nel 1985 il WWF ha promosso un censimento finalizzato allo studio e alla tutela con la collaborazione scientifica dell’Università di Roma. Il progetto Tartarughe del WWF ha avuto come oggetto anche il recupero e la cura degli esemplari feriti, la marcatura, la sensibilizzazione dei pescatori, la sorveglianza dei nidi ed il monitoraggio di spiagge potenzialmente adatte alla nidificazione. Attualmente nel Mediterraneo numerose spiagge della Turchia, della Grecia e di Cipro, importanti in quanto utilizzate regolarmente ogni anno da centinaia di femmine per la deposizione delle uova, a causa di devastanti progetti di edilizia turistica rischiano di non essere più idonee.

Le tartarughe marine pervenute sulle nostre spiagge vengono marcate con targhette di acciaio mediante un apposito applicatore in una delle zampe anteriori. Le targhette, su un lato recano un numero che contrassegna l’esemplare e sull’altro l’indirizzo dell’istituzione che sta effettuando gli studi e a cui bisogna far pervenire gli eventuali dati. Segnalare anche il solo luogo di ricattura di un esemplare marcato costituisce un contributo molto importante, in quanto è proprio dall’insieme di questi e di altri dati che, nel corso degli anni, si possono ottenere maggiori notizie sulla biologia di questa specie utili anche ad elaborare opportune strategie di salvaguardia. Di ogni esemplare marcato viene compilata una scheda nella quale vengono riportati numerosi dati biometrici, tra cui lunghezza e larghezza del carapace, il peso ed il sesso. Varie associazioni ambientaliste, fra cui il WWF, organizzano annualmente campi di volontariato con lo scopo di sensibilizzare i cittadini ed i pescatori alle problematiche riguardanti le tartarughe marine, soccorrere gli esemplari spiaggiati e tutelare le aree di riproduzione attraverso la sorveglianza dei nidi sino al momento della schiusa delle uova.

Proposte di salvaguardia: una strategia efficace per la salvaguardia di questa specie nell’Isola deve necessariamente essere impostata nell’ottica di un’azione integrata. Gli aspetti che si ritengono fondamentali per predisporre adeguati progetti di tutela devono tenere in considerazione:

a) il censimento, il monitoraggio e la salvaguardia dei siti di nidificazione;

b) la tutela delle coste interessate dalla nidificazione;

c) la sensibilizzazione dei pescatori e dell’opinione pubblica;

d) il recupero e la cura degli esemplari feriti o aventi ami nel cavo orale o faringeo.

Per quanto riguarda il primo punto è stato dimostrato, in altri contesti italiani, come esista sicuramente un fenomeno di sottostima dei siti di nidificazione, dovuto alla sostanziale mancanza di ricerche sistematiche e sufficientemente protratte nella stagione riproduttiva lungo i litorali, e ciò essenzialmente per la scarsità di ricercatori specificamente impegnati in tali progetti di censimento e monitoraggio. In Calabria, ad esempio, accurate ricerche hanno permesso di censire un elevato numero di nidi (Paolillo et al., 2000; Mingozzi et al., 2004) che pongono questa regione sicuramente come l’area italiana più importante per la nidificazione di C. caretta. La Sicilia, soprattutto quella meridionale e la costa siracusana, rappresentano certamente territori potenzialmente propizi per la nidificazione di questa specie. Soltanto dopo accurati censimenti sarà possibile avere un quadro sufficientemente chiaro per predisporre adeguati progetti di tutela.

Altro aspetto fondamentale è costituito dalla tutela delle spiagge interessate dai siti di nidificazione, che andrebbero interdette alla balneazione e preservate da fonti di disturbo luminoso e acustico. Purtroppo, invece, le spiagge siciliane sono meta di un esorbitante numero di turisti della spiaggia, addirittura anche all’interno di molte aree protette. Inoltre i nidi individuati dovrebbero essere sorvegliati in maniera rigorosa per evitare ogni fonte di disturbo da parte di predatori (soprattutto di animali randagi) e dei frequentatori della spiaggia. Altra azione importante che dovrebbe essere intensificata in Sicilia è la sensibilizzazione dei pescatori che assai frequentemente, durante le loro attività di pesca, catturano esemplari di tartarughe marine con ami o reti, che potrebbero essere salvate se fossero tenute in considerazione semplici norme di comportamento: non si deve assolutamente tagliare il filo di nylon per liberare l’esemplare avente ancora l’amo (o gli ami) nel cavo orale, poiché ciò potrebbe determinarne la morte per inedia o per infezioni.
Analogamente, nel caso di esemplari feriti dalle reti o dalle eliche dei mezzi a motore, questi dovrebbero essere recuperati per le opportune cure. Attualmente operano in Sicilia diversi centri recupero ( ndr. e centri di primo soccorso) in grado di prestare tutte le necessarie cure. La sensibilizzazione dovrebbe essere estesa anche all’opinione pubblica in genere, con manifestazioni, seminari ed incontri nelle scuole e con l’ausilio di adeguato materiale informativo.
Categoria di minaccia IUCN: a rischio di estinzione in natura estremamente alto nel futuro immediato (CR) (Capula in Bulgarini et al., 1998).
Tutela: questa specie è tutelata da leggi regionali, nazionali e da convenzioni internazionali. E’ considerata rigorosamente protetta dalla legge regionale 37/81 e dai decreti del 25/5/1980 e del 3/5/1989 dell’ex Ministero della Marina Mercantile. E’ inserita nella Convenzione di Berna (Appendice 2), nella Convenzione di Washington (CITES) (Allegato A), nella Convenzione di Bonn (Appendice 1) e nella Direttiva 92/43, cosiddetta “Habitat” (Appendici 2 e 4).


> Un bellissimo libro di archivio del WWF Sicilia Occidentale realizzato dal compianto Franco Galia: Tartarughe marine

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